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Il 15 maggio si aprirà a Foggia il processo per diffamazione a mezzo stampa contro la collega Marina Morpurgo, che ha criticato su facebook una campagna pubblicitaria con protagonista una bambina. La giornalista dovrà rispondere in tribunale del suo post contro un manifesto sessista.

A seguire le parole della collega, per anni inviata de L’Unità e poi caporedattore del settimanale Diario, che racconta quanto le è accaduto.

“Il 15 maggio si apre a Foggia il processo per diffamazione a mezzo stampa contro di me. Parafrasando un po’ potrei dire “un piccolo inciampo per me, un grosso balzo indietro che minaccia l’umanità FB”. Riassumo brevemente la vicenda: su Facebook avevo intercettato un manifesto pubblicitario che raffigurava una bimbetta truccata da adulta, in posa che mi era parsa (e non ero certo l’unica) impropria e ambigua. Il manifesto era comparso per le strade di Foggia, e pubblicizzava un corso professionale per estetiste.
Di qui la mia decisione di criticarlo con un post sulla mia bacheca di FB, e con un commento sulla pagina della scuola professionale in questione. Trattandosi della mia bacheca personale, sulla quale non faccio giornalismo ma racconto i fatti miei e interagisco con amici e conoscenti più o meno virtuali, avevo usato un linguaggio colorito, ma né volgare, né minaccioso, né aggressivo rispetto agli standard dei social.
La faccenda aveva suscitato il tipico picco di indignazione di breve durata; la scuola non aveva né cancellato il post di critica, né aveva risposto, né aveva chiesto direttamente a me o a FB di rimuovere le espressioni che a loro sono parse diffamatorie e a me parevano giustamente critiche.
Quando ho ricevuto la notizia della denuncia contro di me sono rimasta allibita. E ancora più allibita sono rimasta quando il PM ha deciso di non archiviarla, ma di andare a processo. Con questi criteri, potremmo avere in tribunale la stragrande maggioranza dei frequentatori di social network.
È curioso notare come l’unica denunciata sia stata io, nonostante le critiche fossero piovute da ogni parte: evidentemente la denunciante si è “ingolosita” di fronte alla mia qualifica professionale di giornalista, nonostante da anni io faccia un altro mestiere.
La denuncia è partita alcune settimane dopo il fatto, e dopo che lo IAP aveva scritto alla scuola professionale per comunicare che la pubblicità non rispettava i criteri stabiliti con il Garante per l’Infanzia, ed era da considerarsi impropria. È da notare che la segnalazione allo IAP l’avevano fatta parecchie persone, senza che io ne sapessi nulla.
Questa vicenda mi sta causando un notevole danno, anche economico. Costituisce un precedente pericoloso, e veramente antipatico”.

Il caso. Processata per aver criticato su Facebook

Una pubblicità ritenuta sessista

di Paolo Brogi
La legge sulla diffamazione rischia di fare un’altra vittima, la giornalista Marina Morpurgo, che a metà maggio è chiamata a rispondere in un tribunale italiano delle sue frasi di protesta per il sessismo contenuto in una pubblicità a suo tempo inserita sulle pagine di Facebook.
Una legge già sbagliata, al punto che permette di chiamare in giudizio chi ha scritto qualcosa su Facebook come se fosse un organo di stampa, ma che potrebbe perfino “peggiorare” se dovesse mai passare la bozza di testo che in terza lettura è tornato da poco alla Camera dei deputati, nella Commissione Giustizia, un testo contro il quale – così come è attualmente concepito – non ci può che essere il no dei giornalisti italiani e di chi vuole difendere la libertà di stampa. E di questo si dovrà tornare presto a parlare.

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http://www.brogi.info/2015/04/solidarieta-alla-giornalista-marina-morpurgo-processata-per-aver-criticato-una-pubblicita-ritenuta-sessista.html

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