Carlo_Picozza

Nell’ordinamento normativo italiano, in particolare in quello che regola la professione giornalistica a partire dall’accesso, non vi è traccia della parola “colloquio”. In altri termini, per varcare la soglia della professione, nessuna prescrizione obbliga gli aspiranti pubblicisti a sottoporsi a quesiti né, tanto meno, ad accertamenti sulla loro cultura (libresca o antropologica che sia).

È un fatto, però, che dietro l’esperienza di alcuni Ordini regionali, abbia preso piede via via la pratica di sottoporre i candidati pubblicisti a una sorta di interrogazione che, nei fatti, si è palesata come un esame vero e proprio, visto “l’eterno ritorno” alla prova di alcuni aspiranti pubblicisti, molti dei quali in regola con i titoli richiesti. In definitiva, questa prassi ha spostato il baricentro del dettato normativo dalla valutazione dei requisiti (80 articoli regolarmente retribuiti nell’ultimo biennio) a quella, ben più soggettiva, della formazione e delle conoscenze in possesso dell’esaminando. Si è aperto, cioè, il varco a una sorta di discrezionalità che, nelle sue derive possibili, si sarebbe potuta configurare anche come un abuso di potere. Bisogna dire però che, se è vero che non c’è riferimento esplicito ai colloqui nella legislazione, è incontrovertibile il fatto che non c’è norma che li vieti. Eppure, di fronte ai risultati di un’esperienza consolidata (quello del Lazio è stato tra i primi Ordini a vararla), il nostro Consiglio, a stragrande maggioranza, si è orientato verso l’abolizione dei cosiddetti colloqui.

Ora, in cammino verso questa direttrice, siamo obbligati, individualmente e collegialmente, a eseguire una valutazione attenta dei “titoli” per l’accesso alla professione. Questi sì, esplicitamente previsti e declinati dal legislatore. Colloquio al bando, dunque? Nient’affatto. Può restare. Ma per sciogliere dubbi. Non più come barriera ulteriore all’accesso. Solo un “elemento”, questo il termine impiegato dal legislatore (nell’ultimo comma dell’articolo 34 del regolamento di esecuzione della legge 69 del 1963, istitutiva della professione), per chiarimenti e integrazioni alla documentazione che il candidato, consumata la sua esperienza pubblicistica, allega alla domanda di ingresso.

Carlo Picozza – Consigliere professionista

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