tribunale

Vietato pubblicare – anche sui periodici di informazione municipale a cura delle stesse amministrazioni locali – le delibere comunali che stabiliscono e finanziano l’assistenza per i minori “diversamente abili”, anche se questi provvedimenti sono affissi all’albo pretorio e sono dunque pubblici. Lo sottolinea la Cassazione spiegando che, per quanto succinta, una informazione del genere che contiene nome e cognome del minore e il riferimento al suo essere in condizione di “diversa abilità”, anche senza altre specificazioni, rappresenta sempre una violazione della privacy e costituisce “un illecito trattamento giornalistico dei dati personali”.

Senza successo, il direttore editoriale del Comune di Cetraro – Pasquale G. – ha fatto ricorso in Cassazione contro la condanna a risarcire i danni per violazione della privacy provocati ai genitori di una bambina diversamemte abile, e alla stessa minore, per aver fatto pubblicare sul periodico ‘Il Municipale’, il 30 gennaio 2004, la delibera comunale di assistenza alla piccola con i suoi dati. In questo modo, a seguito di quella pubblicazione, hanno sostenuto padre e madre della bambina rivolgendosi al Tribunale di Paola “si era verificata una continua e insistente curiosità delle persone” nei confronti loro e della minore. Per questo il direttore editoriale era stato condannato, il 17 aprile 2007, a risarcire tremila euro ai genitori e mille alla bambina. Contro la condanna, Pasquale G. ha protestato sostenendo l’infondatezza della domanda risarcitoria in quanto “era stata indicata la sola condizione di diversa abilità della minore e non la sua condizione di salute, peraltro visibile, e che la pubblicazione della delibera dell’organo del Comune, di cui il giornale era strumento di informazione, era caratterizzata dall’essenzialità e dalla sussistenza di un correlativo interesse pubblico”.

In pratica, secondo la difesa del direttore editoriale, non era stata commessa nessuna violazione della privacy in quanto chiunque incontrava la bambina si rendeva conto del suo handicap e la legge non punisce chi con i suoi comportamenti – in questo caso il “mostrarsi in pubblico” – rende “volontariamente” noto il suo essere ‘diverso’. La Cassazione non ha affatto condiviso questa interpretazione del terzo comma del d.lgs 196/2003 secondo cui “possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati attraverso i loro comportamenti in pubblico”. “La percepibilità ‘ictu oculi’, da parte dei terzi, della condizione di handicap di una persona – scrive la Suprema Corte nella sentenza 24986 della Terza sezione civile – non può, infatti, considerarsi circostanza o fatto reso noto direttamente dall’interessato o attraverso un comportamento di questi in pubblico e, conseguentemente, non è applicabile in siffatta ipotesi la richiamata norma”. “E ciò vale a maggior ragione nel caso in esame, in cui – concludono infine gli ‘ermellini’ – risulta violata la riservatezza di una minore della quale sono stati divulgati gli elementi di identificazione e i dati sensibili attinenti alla sua salute, senza che essi, così come pubblicati, e in particolare con l’indicazione del nome e cognome della minore, fossero peraltro di interesse pubblico ed essenziali all’informazione”. Così il ricorso del direttore editoriale è stato rigettato con condanna a pagare anche 2200 euro di spese di giustizia.

Fonte: Ansa

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