Museruola-libero

“Dal burqa alla museruola” scriveva ieri Libero in prima pagina, sopra alla foto di una donna che indossa quella che il quotidiano etichetta come “museruola”. “Ultima trovata degli estremisti musulmani”, è definita, “il tutto nel completo silenzio della stampa”. E meno male che la stampa non ne abbia parlato (a eccezione di Libero, per il quale l’articolo è firmato da Souad Sbai, e del Giornale, che dal primo riprende la notizia) perché la “museruola d’ottone” che sarebbe imposta alle donne dove “dominano i salafiti” è tutt’altro.

A condurre l’operazione di debunking è stato il Post, che in un articolo pubblicato ieri spiega cos’è, in realtà, l’oggetto e qual è l’origine delle foto utilizzate dal quotidiano: si tratta di una maschera di antica tradizione, utilizzata principalmente in alcuni villaggi iraniani da donne sciite (l’Iran è un paese persiano – non arabo – e sciita) e, talvolta, anche sunnite. La maschera, chiamata boregheh o batoolah, è realizzata artigianalmente dalle donne stesse e non impedisce loro di parlare. Le foto pubblicate da Libero sono parte di un reportage che racconta proprio le origini e l’evoluzione di questo accessorio (nell’articolo del Post tutti i link).

Dal web alla prima pagina

La falsa notizia aveva fatto la sua comparsa, due giorni prima dell’approdo in prima pagina, sull’account Facebook di Souad Sbai: la giornalista ed ex parlamentare il 28 gennaio si scagliava contro la “la mordacchia in ottone”, da lei descritta come “nuova ‘moda’ dell’estremismo salafiti”.

Nel giro di poche ore Sherif El Sebaie, esperto e autore di saggi sul mondo arabo, in seguito ad alcune segnalazioni era intervenuto con un post spiegando cosa fosse, in realtà, quella maschera: “così stronchiamo sul nascere l’ennesima bufala”.

Ma così non è andata e in due giorni, dal web, la falsa notizia è giunta fin sulla prima pagina di un quotidiano per poi essere ripresa da una seconda testata giornalistica.

Per leggere l’articolo del Post, “La bufala di Libero sulle ‘museruole islamiche’”, clicca qui.

Fonte: www.cartadiroma.org

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