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Il 24 marzo il Tribunale ha dato il via libera alla riapertura de L’Unità, come ha annunciato il tesoriere Pd Bonifazi. A questo punto si dovrebbe concretizzare la fattura del nuovo giornale, anche perché si era parlato di una riapertura per il 25 aprile, ma si brancola nel buio: non si sa il nome del direttore, non si conosce un piano editorale o con quali criteri saranno scelti i 25 giornalisti (10 articoli 1 a Roma, 6 a Milano, più 9 articoli 2, su circa 57 giornalisti della vecchia Unità) e i 4 poligrafici. Tutto tace e intanto i giornali concorrenti affilano le penne.

Il Cdr dell’Unità ha diffuso in merito un comunicato.

“Da giorni si attende l’annuncio da parte del gruppo Veneziani del nome del direttore che dovrà guidare la nuova Unità. Purtroppo finora si è atteso invano. Oggi non c’è più tempo da perdere: i lavoratori hanno diritto a conoscere quanto prima il loro destino, dopo lunghi mesi di sacrifici.

Un vuoto pericoloso è tornato ad avvolgere una vicenda ancora molto dolorosa, che ha pesato soprattutto sulle spalle dei lavoratori. Solo grazie al senso di responsabilità della redazione – che ha votato a stragrande maggioranza l’intesa siglata dal Cdr – il quotidiano potrà tornare in edicola, riducendo la perdita di posti di lavoro e di valore economico che il suo fallimento avrebbe procurato.

Va soprattutto a loro, a giornalisti e poligrafici, il merito di aver rinunciato a difendere posizioni acquisite per fare quello che ormai tutti gli esperti indicano come l’unica strada per uscire dalla crisi: creare e difendere il lavoro. Sappiamo che non tutti i giornalisti rientreranno subito nel nuovo giornale, ma sappiamo anche che proprio grazie all’accordo nei prossimi 18 mesi, se il progetto avrà successo, altri colleghi potranno sperare in un’assunzione. Non è poco in un momento in cui si contano solo espulsioni in un settore attraversato da una crisi strutturale irreversibile. Il sì della redazione è stato un grande gesto di solidarietà e di responsabilità, vissuto in perfetta solitudine anche rispetto a quelle aree che considerano la testata de l’Unità come parte del loro codice genetico.

Oggi tuttavia manca a quell’intesa il capitolo “gemello” a quello economico, da affrontare quanto prima con il nuovo direttore: ovvero il piano editoriale, la pianta organica, i criteri di selezione dei giornalisti. Questi nodi restano ancora insoluti per le lungaggini inspiegabili e inammissibili della nuova compagine societaria. Ricordiamo che in aprile i lavoratori “celebreranno” un anno senza un vero stipendio. E’ urgente che l’emergenza economica di un’ottantina di famiglie trovi soluzione al più presto, con la riapertura e con l’avvio della liquidazione. Di questo si deve far carico un’azienda seria, che come tutte le imprese, ha anche doveri sociali.

Parliamo di vuoto pericoloso perché già vediamo volteggiare nell’aria i soliti (ci siamo abituati all’Unità) avvoltoi, che preferiscono vedere cadaveri marcescenti piuttosto che organismi viventi. Dimenticando troppo facilmente (e colpevolmente, parlando al mondo della sinistra) che con i cadaveri si nega un futuro dignitoso a decine di famiglie e si nega un giornale a migliaia di lettori. A tutti è consentito esprimere opinioni, quello che tuttavia non accettiamo è che chiunque possa arrogarsi il diritto di tirare dalla propria parte il nome di Antonio Gramsci. Un nome altissimo, che purtroppo è stato già ampiamente strumentalizzato e svilito da chi non ha saputo gestire il “suo” giornale, chi ha utilizzato solo per scopi personali una testata storica, chi, nonostante il sacrosanto contributo pubblico – necessario in un mondo in cui il mercato della pubblicità è sregolato a vantaggio di pochi oligarchi – è arrivato a un passo dal fallimento.

Torniamo a chiedere risposte immediate e serie per tutti quei colleghi che in questi mesi sono stati chiamati a pagare di tasca loro le condanne per le cause di diffamazione perse dalla società in liquidazione. Una richiesta che abbiamo fatto in tutte le sedi, formali e informali, e che grazie all’iniziativa del Cdr è arrivata anche nelle stanze del ministro della Giustizia. Sappiamo che non ci sono strumenti tecnici per risolvere questi casi, e forse questo non ci ha consentito finora di arrivare a risultati. A questo punto si impone un intervento della politica, se davvero a sinistra esiste ancora un valore che si chiama solidarietà. Sono molti, nel Pd, ad aver trovato nell’Unità anche la loro casa, la loro famiglia. Oggi è il momento di dimostrarlo non a parole, ma con i fatti”.

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